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Chirurgia e Trattamenti

Chirurgia del distacco di retina

Intervento chirurgico per il distacco della retina: cerchiaggio episclerale e vitrectomia.

Chirurgia del Distacco di Retina

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Vi sono sostanzialmente due tecniche per il trattamento chirurgico del distacco di retina: la tecnica episclerale ab externo e la vitrectomia ab interno.

La chirurgia episclerale del distacco di retina, come indica il temine stesso, agisce lavorando sulla parete esterna, bianca, dell’occhio, la sclera.  Essa rappresenta a tutt’oggi la tecnica di elezione per il trattamento di forme non complicate di distacco di retina, poiché, non entrando nel bulbo, evita traumi eccessivi per la retina e le altre strutture intraoculari.

Il principio di questa chirurgia è quello di risolvere il distacco spingendo la parete dell’occhio verso la retina distaccata, in modo da chiudere le rotture retiniche e neutralizzare le trazioni del vitreo. Opportuni impianti di materiali biocompatibili vengono suturati alla sclera in modo tale da essere sospinti verso il centro dell’occhio, deformandone la parete e provocando una sorta di impronta rigida e permanente. Tali elementi possono essere posizionati su 360°, come una cintura agganciata alla sclera e passante sotto i muscoli estrinseci (cerchiaggio) e rinforzate da segmenti articolati e sottoposti al cerchiaggio (piombaggi) in corrispondenza delle rotture retiniche.

 Contemporaneamente, il fluido sottoretinico viene fatto fuoriuscire attraverso un piccolo foro praticato nella sclera stessa. Una volta ottenuta l’aderenza retinica, questa viene consolidata con trattamento criogenico, per provocare ustioni, da freddo, che ne stimolino la successiva cicatrizzazione, cioè la saldatura.

La miopizzazione dell’occhio, conseguente all’allungamento antero-posteriore del bulbo oculare, alterazioni della motilità oculare conseguente a traumatismi sui muscoli oculomotori, e recidive del distacco (inferiori al 5%) rappresentano le principali complicanze di questa tecnica.     

La vitrectomia consiste nella rimozione del corpo vitreo, cioè il tessuto connettivo gelatinoso, trasparente e non vascolarizzato che riempie i 4/5 posteriori del bulbo oculare, e nella sua sostituzione con un altro mezzo biocompatibile, come gas o olio di silicone.

L’intervento si esegue in anestesia locale con puntura retrobulbare.

La vitrectomia consente di affrontare con successo forme complicate di distacco di retina.

Questa tecnica, nata negli anni ‘70 con l’affermarsi della chirurgia endobulbare, permette di affrontare il distacco della retina dall’interno, attraverso minuscoli fori sulla sclera e è progredita negli anni fino a diventare ormai microinvasiva, grazie all’ausilio di apparecchiature altamente sofisticate.

Per tutti gli interventi che riguardano la retina, si deve tenere presente che il recupero funzionale non è immediato e che comporta un graduale miglioramento della vista che può durare alcuni mesi.

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Trapianto di Cornea

Intervento di trapianto della cornea

Trapianto Di Cornea

Il trapianto di cornea è indicato in presenza di patologie che alterano la trasparenza o la conformazione della cornea.

La cornea costituisce la superficie anteriore del bulbo oculare e svolge una funzione protettiva e refrattiva ed è paragonabile ad Una lente all’interno del sistema ottico, o diottro, oculare.

L’assenza di vasi rende la cornea un tessuto immunologicamente protetto.

Il trapianto di cornea a tutto spessore o PK è la tecnica Chirurgica di elezione nel caso di perforazioni corneali, rotture Traumatiche della membrana di Descemet e cheratocono acuto.

Con la PK, la parte centrale della cornea del ricevente, di circa 8mm di diametro, viene sostituita dalla cornea di un donatore deceduto.

La sopravvivenza del lembo trapiantato è strettamente dipendente Dall’ indicazione chirurgica (trapianti a basso, medio e alto Rischio).

In età’ pediatrica, in presenza di neovasi corneali, di infezioni Corneali o in caso di trapianti ripetuti, è corretto parlare di chirurgia ad alto rischio.

In questi casi il monitoraggio del medico oculista deve essere Particolarmente accurato, così come il controllo farmacologico dell’infiammazione corneale.

Negli ultimi anni la chirurgia della cornea è cambiata grazie al perfezionamento di tecniche di chirurgia lamellare che consentono di curare la cornea selettivamente in relazione al tipo di patologia.

In presenza di patologie dell’endotelio corneale, come le distrofie endoteliali o la scarsa cellularità endoteliale, la cornea non è più In grado di espellere il liquido dall’interno dello stroma e perde la sua trasparenza irreversibilmente: ciò provoca un grave calo visivo.

In questi casi è indicato il trapianto corneale endoteliale, in grado di ripristinare la trasparenza corneale e la vista del paziente.

Rispetto alla chirurgia perforante (a tutto spessore) della cornea, la chirurgia lamellare endoteliale è un intervento più sicuro e con una riabilitazione visiva più veloce, perché si esegue a bulbo chiuso.

Inoltre sono molto meno frequenti e gravi le complicanze post operatorie, per la minor durata della terapia steroidea, per la minor frequenza del rigetto e per l’assenza della sutura continua.

Le tecniche principali sono la cheratoplastica endoteliale o DSAEK, in cui l’endotelio malato viene sostituito con un tessuto costituito da endotelio e da una piccola parte di tessuto connettivo (stroma) profondo corneale, e la più recente DMEK, che consiste nell’innesto di solo endotelio.

La DMEK richiede una certa trasparenza corneale, in modo da poter dispiegare e posizionare il lembo endoteliale in contatto con lo stroma corneale.

Con questa tecnica chirurgica innovativa il rischio di rigetto endoteliale e il tempo per il recupero della funzione visiva si riducono ulteriormente rispetto alla DSAEK.

La cheratoplastica lamellare anteriore profonda o DALK è indicata in presenza di patologie a carico dello stroma, senza coinvolgimento dell’endotelio (cheratocono, leucomi post infettivi, distrofie dello stroma).

In questi casi ad essere sostituito è solo lo stroma corneale (pari al 90% dello spessore della cornea).

Rispetto alla cheratoplastica perforante, la DALK è un intervento a bulbo chiuso, senza rischio di rigetto endoteliale e con basso rischio di rigetto epiteliale e stromale, risolvibili con colliri steroidei.

Il recupero visivo, nel tempo, è paragonabile a quello del trapianto a tutto spessore.

La chirurgia della cornea ha in generale una prognosi favorevole quando le indicazioni sono corrette.

Per questo motivo, alla abilità’ chirurgica deve sempre associarsi una grande esperienza clinica nel campo delle patologie corneali e della superficie oculare.

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Chirurgia Del Glaucoma

Intervento chirurgico per il glaucoma e trattamenti laser

Chirurgia del Glaucoma

Nell’occhio affetto da glaucoma l’eccessiva produzione dell’umor acqueo o un ostacolo al suo normale deflusso portano all’aumento del tono intraoculare. La pressione eccessiva all’interno del bulbo provoca il danneggiamento del nervo ottico, che si traduce in un calo progressivo della vista, ad iniziare dalla parte periferica del campo visivo.

La prima scelta terapeutica è medica e si basa sull’uso regolare e costante di colliri ipotonizzanti, la cui funzione è abbassare il livello della pressione oculare, riducendo la produzione di umore acqueo e favorendone il deflusso.

Quando però i farmaci non risultano più sufficienti a controllare il flusso ed il drenaggio dell’umor acqueo, si deve ricorrere alla terapia chirurgica.

A seconda dello specifico caso, il medico oculista può indicare il ricorso alla chirurgia incisionale o a trattamenti laser.

La procedura chirurgica standard per il trattamento del glaucoma è la trabeculectomia.

 

 La trabeculectomia è praticata in regime ambulatoriale, con somministrazione di anestesia locale, e richiede un paio d’ore per l’esecuzione. Consiste nell’asportazione di una piccola lamella di tessuto tra la camera anteriore e lo spazio subcongiuntivale (limbus corneo-sclerale contenente il trabecolato ed il canale di Schlemm) e la creazione di un’apertura artificiale a livello della sclera, la parte bianca dell’occhio, da cui far defluire l’umor acqueo in eccesso e ripristinare il normale tono intraoculare.

Quando lo sportello sclerale funziona correttamente, l’umor acqueo comincia a defluire attraverso di esso, fino a formare un piccolo rigonfiamento chiamato bozza filtrante.

Un’altra tecnica chirurgica per il glaucoma è l’impianto di valvole drenanti, come la valvola di Ahmed, lo shunt di Molteno e l’impianto di Baerveldt che permettono, attraverso l’immissione nell’occhio di un tubicino di scarico, di mantenere la pressione oculare a livelli accettabili.

 

Tra le varie tecniche di trattamento laser per il glaucoma, finalizzato a ridurre la pressione intraoculare, favorendo la fuoriuscita dell’umor acqueo, la trabeculoplastica e l’iridotomia sono le più diffuse.  Dopo l’instillazione di alcune gocce di collirio anestetico, si applica una lente sull’occhio e si dirigono gli impulsi di luce nelle zone da trattare.

La trabeculoplastica argon laser (ALT) si avvale della azione termica di un “laser caldo” ad argon per ottenere un allargamento del tessuto trabecolato, favorendo la fuoriuscita dell’umor acqueo e l’abbassamento della pressione intraoculare; la trabeculoplastica laser selettiva (SLT) è ALT, ma si differenzia nel selezionare solo alcune cellule del trabecolato da trattare, per di lasciare intatto il tessuto circostante. Entrambi i trattamenti vanno ripetuti nel tempo.

 

L’iridotomia YAG laser viene eseguita con il laser YAG, definito “laser freddo”, poiché non produce un effetto termico, ma è in grado di creare delle micro-incisioni simili a quelle di un bisturi ad elevata precisione. Questa procedura è indicata soprattutto per prevenire o trattare un attacco di glaucoma acuto.

 

Le indicazioni da seguire nel decorso post-operatorio sono fornite dal medico oculista, anche sulla base della procedura attuata.

 

Dopo l’intervento, l’occhio operato deve rimanere bendato per diversi giorni.  Quindi va protetto di giorno dalla luce eccessiva con l’uso di occhiali da sole.

La maggior parte dei pazienti non riferisce particolari fastidi, a parte un lieve offuscamento della vista e, talvolta fotofobia e sensazione di corpo estraneo nell’occhio.

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Trattamento del cheratocono

Cross-linking corneale

Trattamento del cheratocono

Il cheratocono è una patologia cronica degenerativa della cornea, caratterizzata dal progressivo assottigliamento e sfiancamento del suo tessuto connettivo o stroma. Perdendo rigidità e resistenza, la cornea si assottiglia e si deforma nella parte centrale, assumendo la forma di un cono.

Una terapia che negli ultimi anni si è rivelata essere efficace per rallentare la degenerazione del tessuto della cornea è il cross-linking corneale (CXL), trattamento non invasivo basato sull’ azione combinata di vitamina B2 e raggi ultravioletti.

Tale trattamento consiste nell’ instillare gocce di collirio a base di riboflavina, la vitamina B2 e nell’esporre il tessuto corneale ad un fascio laser di raggi ultravioletti di tipo A (UVA) a basso dosaggio.

Il cross-linking corneale è indolore, si effettua con anestesia locale e dura meno di un’ora. A fine intervento viene applicata una lente a contatto.

 Esistono due diversi metodi di intervento, quello standard detto epi-off con cui viene inizialmente rimosso l’epitelio corneale per facilitare l’assorbimento della riboflavina e la successiva irradiazione con raggi ultravioletti, e il cross-linking transepiteliale (epi-on) dove l’assorbimento e l’irradiazione avvengono senza l’asportazione dell’epitelio corneale, necessario quando lo spessore troppo sottile della cornea non consente la procedura classica.

Nel trattamento epi-on l’assorbimento della riboflavina viene facilitato con la creazione di un campo elettrico a basso voltaggio: si tratta del cross-linking mediante iontoforesi.

Dopo il trattamento, che non prevede ricovero, il paziente deve stare almeno due giorni in assoluto riposo, al riparo dalla luce troppo forte.  Nei primi giorni inoltre può accusare dolore intenso, sensazione di corpo estraneo e fotofobia, per i quali si prescrivono antidolorifici.

I controlli post-operatori, quotidiani, vanno eseguiti con scrupolo nei mesi successivi al trattamento, fino alla rimozione della lente a contatto. Essi comprendono anche diversi esami strumentali, tra cui la topografia e la tomografia corneale e l’OCT del segmento anteriore, ad un mese, tre mesi, sei mesi e ad un anno dall’intervento

Qualora questi trattamenti non fossero sufficienti si può ricorrere al trapianto di cornea.

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Chirurgia Della Cataratta

Facoemulsificazione

Chirurgia della Cataratta

La cataratta è una opacizzazione del cristallino, la lente situata all’interno dell’occhio che serve a mettere a fuoco le immagini sulla retina. L’intervento chirurgico consiste nella rimozione del cristallino e nell’impianto al suo posto di una lente intraoculare (IOL).

L’intervento di cataratta è oggi estremamente diffuso nei paesi industrializzati: solo in Italia si eseguono più di 500.000 procedure chirurgiche annuali rendendo tale intervento il più praticato nelle sale operatorie.

Nel corso degli ultimi anni le nuove tecnologie hanno permesso di modificare totalmente l’approccio chirurgico.

Se infatti fino agli anni ‘90 si tendeva ad aspettare che la cataratta maturasse per rimuoverla, vista la difficoltà di ottenere una visione soddisfacente con l’ausilio degli occhiali, ora con l’introduzione di cristallini artificiali sempre più perfezionati e con la tecnica della facoemulsificazione (rimozione del cristallino mediante frammentazione ad ultrasuoni) si possono effettuare interventi sempre più precisi e rapidi.

A seconda delle esigenze del paziente, il chirurgo può valutare quale sia la lente intraoculare più adatta: IOL monofocali che correggono miopia ed ipermetropia anche elevate, IOL multifocali o accomodative, che correggono sia per la vista da lontano (miopia e presbiopia) che da vicino (presbiopia), IOL toriche che correggono miopia e ipermetropia, ma anche l’astigmatismo ed infine le IOL toriche multifocali, per la correzione di tutti i difetti visivi, da lontano e da vicino, compreso l’astigmatismo.

 

È quindi fondamentale per il chirurgo esaminare insieme al paziente le necessità individuali per programmare la correzione ottica migliore.

L’intervento, che dura circa un quarto d’ora, viene eseguito nella maggior parte dei casi in regime ambulatoriale, senza ricovero e con anestesia topica, ossia con la sola instillazione di colliri anestetici.

Una tecnica ancora più recente è quella con il femto-laser: le fasi iniziali dell’intervento vengono dal laser a femtosecondi, guidato da un computer che acquisisce le immagini dell’occhio in tempo reale attraverso la tomografia a coerenza ottica (OCT).

Il chirurgo interviene quindi a completare le fasi successive, fino alla introduzione della IOL.

 

Il recupero visivo è molto veloce: di solito il giorno dopo l’intervento il paziente può sbendare l’occhio operato e svolgere una vita normale con l’accortezza di evitare sforzi fisici importanti e limitare l’attività fisica per una settimana.

Per la buona riuscita dell’intervento è fondamentale che il paziente si sottoponga a controlli oculistici post-operatori, dopo un giorno, una settimana e venti giorni dall’intervento. Deve inoltre attenersi scrupolosamente alla terapia, con l’uso di un collirio per due o tre settimane.

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Patologie

Cataratta

Opacizzazione del cristallino

Cataratta

La cataratta è una patologia molto comune dovuta alla perdita di trasparenza del cristallino, la lente biconvessa posta all’interno del bulbo oculare consente di mettere a fuoco le immagini sulla retina.

La parola cataratta deriva dal greco καταράκτης, che vuol dire cascata, poiché anticamente si pensava che l’offuscamento della vista derivasse dall’alto, con la discesa di un velo, simile all’acqua di una cascata.

La cataratta è dovuta nella maggior parte dei casi al naturale processo di invecchiamento: Il cristallino, generalmente morbido, flessibile e trasparente, invecchiando si opacizza e diventa più rigido, provocando una variazione della vista sia in termini quantitativi che qualitativi.

L’opacità del cristallino può svilupparsi in diverse zone, in base a cui si classifica la cataratta: nel nucleo centrale del cristallino (cataratta nucleare), sui lati del cristallino (cataratta corticale), nella capsula posteriore (cataratta sottocapsulare posteriore).

In una fase avanzata della malattia, i sintomi evidenti sono costituiti dalla riduzione del visus, ossia riduzione della capacità visiva sia da vicino che da lontano, dall’ annebbiamento delle immagini, dalla discromatopsia o difficoltà nel differenziare i colori, dal fastidio della visione in luoghi molto luminosi oppure in penombra, dalla presenza di aloni attorno agli oggetti, da diplopia o sdoppiamento delle immagini.

La cataratta si può manifestare anche prima dell’età matura a causa di alcune patologie, come forte miopia, glaucoma, uveiti e diabete mellito o a causa di traumi o in conseguenza dell’assunzione massiccia e continua di farmaci cortisonici (cataratta giovanile).

 

In alcuni casi più rari la cataratta si presenta nei bambini e può essere ereditaria o in associazione ad altre malattie sistemiche o sindromi e può essere mono o bilaterale (cataratta congenita).

La diagnosi della cataratta si effettua durante una visita oculistica approfondita e la terapia consiste nell’asportazione chirurgica del cristallino e nella introduzione di una lente intraoculare (IOL), secondo una tempistica valutata dal medico oculista durante i controlli periodici necessari.

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Difetti della vista

Miopia, ipermetropia, presbiopia, astigmatismo

Difetti della vista

I difetti della vista consistono nell’alterazione della refrazione, causata da piccole imperfezioni anatomiche della cornea o del bulbo oculare: i raggi luminosi che entrano nell’occhio non sono messi a fuoco sulla retina e di conseguenza la vista si offusca.

Possono essere corretti grazie all’uso di occhiali e lenti a contatto, oppure in maniera permanente, attraverso un trattamento chirurgico.

Nell’occhio normale, o emmetrope, i raggi luminosi vanno a fuoco direttamente sulla retina, permettendo una visione nitida.

Nella miopia i raggi luminosi vanno a fuoco davanti alla retina invece che sulla retina stessa. La causa può essere nella lunghezza maggiore del bulbo oculare (miopia assiale), nella curvatura della cornea superiore alla norma oppure da un aumento dell’indice di rifrazione del cristallino, come in alcuni tipi di cataratta. Nella maggior parte dei casi la miopia è di natura assiale. La miopia è corretta con l’impiego di lenti sferiche concave.

Nell’ipermetropia i raggi luminosi vanno a fuoco dietro la retina. La causa può essere nella lunghezza minore del bulbo oculare, nella curvatura corneale inferiore alla norma, o alla variazione dell’indice di rifrazione del cristallino.

Il continuo sforzo accomodativo può essere responsabile di sintomi astenopici, cioè affaticamento e dolenzia, iperemia congiuntivale e blefarite. L’ipermetropia si corregge con una lente convessa.

L’astigmatismo è una condizione di asimmetria della refrazione oculare che produce una ineguale refrazione dei raggi luminosi nei vari meridiani. Per questo motivo un punto luminoso, invece di formare un punto focale, risulta messo a fuoco su due linee focali disposte ad angolo retto, una anteriore ed una posteriore. L’astigmatismo può essere miopico, ipermetropico o misto.

La presbiopia consiste nella fisiologica riduzione della capacità di accomodazione del cristallino con l’avanzare dell’età, il cui risultato è una visione sfocata da vicino. La progressiva perdita di accomodazione è dovuta a una inadeguata contrazione dei muscoli ciliari con l’età o ad un aumento della rigidità dell’intero cristallino con la vecchiaia. In entrambi i casi il risultato è comune e costringe la maggior parte dei soggetti oltre i 40 anni a dover indossare gli occhiali per leggere da vicino.

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Degenerazione maculare legata all’età

Patologia della macula

Degenerazione maculare legata all’età

La degenerazione maculare legata all’età (DMLE) è una malattia molto diffusa e nei paesi industrializzati costituisce la maggiore causa di cecità nei pazienti anziani.

È una patologia che colpisce la macula, cioè la parte centrale della retina, la membrana complessa, vascolarizzata e sensibile che riveste la superficie interna dell’occhio e che rappresenta la struttura funzionale più importante per la visione, danneggiandola in modo spesso irreparabile.

I sintomi iniziali consistono in una distorsione delle immagini al centro del campo visivo, difficoltà a visualizzare le immagini a distanza ravvicinata, perdita di brillantezza dei colori.

La degenerazione maculare legata all’età viene comunemente classificata nelle due diverse forme in cui si presenta, che costituiscono i diversi stadi della malattia: degenerazione maculare iniziale e degenerazione maculare evoluta.

I pazienti con DMLE iniziale presentano alterazioni retiniche, come le drusen, piccole formazioni di materiale lipidico e proteico che si depositano sul fondo oculare e aree di alterata pigmentazione (prevalentemente iperpigmentazione), ma quasi sempre mantengono un buon livello di acuità visiva.

La DMLE evoluta rappresenta la fase conclamata della malattia, nella quale il paziente può arrivare a perdere la visione centrale.

Si manifesta in due forme. La DMLE atrofica, in cui le cellule della retina si atrofizzano con la formazione di una cicatrice con un aspetto detto “a carta geografica”, è la più frequente, porta ad una graduale riduzione del visus e in casi rari ad una perdita grave visiva.  La DMLE essudativa, caratterizzata dalla crescita di neovasi che tendono al sanguinamento e a cicatrizzazioni, che è meno frequente, ma ha un decorso molto rapido con possibile grave perdita visiva in pochi mesi.

I fattori di rischio sono vari e numerosi: costituzionali, come età, genere (maggiore prevalenza nelle donne), colore chiaro dell’iride, ambientali come fumo, eccessiva esposizione alla luce solare senza protezione, abuso di alcol, legati a malattie come diabete, obesità, ipertensione e ipercolesterolemia e, infine, genetici.

La diagnosi di degenerazione maculare viene effettuata con la valutazione dei sintomi soggettivi riferiti dal paziente, con l’osservazione delle caratteristiche lesioni durante l’esame del fondo oculare e infine con le ormai consolidate tecniche di imaging come la fluorangiografia l’angiografia al verde di indocianina (ICG) e la tomografia ottica a luce coerente (OCT) e Angio OCT.

 Ciascuna di queste metodiche consente infatti la visualizzazione delle caratteristiche specifiche del tipo di lesione, la loro classificazione ed il monitoraggio nel tempo, risultando in tal modo di estrema utilità anche per la valutazione dell’efficacia del trattamento.

La distorsione delle immagini costituisce spesso il primo e più evidente sintomo di comparsa di una degenerazione maculare e rappresenta anche un campanello di allarme della riattivazione di una lesione preesistente in pazienti già affetti.

 Risulta pertanto utile fornire al paziente affetto da DMLE iniziale un autotest, il test di Amsler, esame di facile esecuzione che consente di evidenziare l’insorgenza di tale sintomo e di monitorarne l’andamento nel tempo. Si esegue utilizzando un quadrilatero quadrettato (Test di Amsler) posto alla distanza di 30 cm che deve essere osservato con la migliore correzione per lettura. Dopo aver coperto con la mano un occhio, con l’occhio scoperto il paziente deve fissare il punto nero centrale del reticolo. Se le linee circostanti appaiono ondulate, deformate o discontinue è necessario contattare subito il proprio oculista.

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Tumori dell’occhio

Neoplasie dell’occhio

Tumori oculari

Le numerose forme tumorali che possono colpire l’occhio, sia maligne che benigne, primarie o metastatiche, sono classificabili in base alla zona dell’occhio in cui si manifestano: intraoculari, quando sono localizzati nell’uvea, la tonaca vascolare dell’occhio, e nella retina, il tessuto nervoso, congiuntivali quando investono la congiuntiva, la mucosa trasparente che ricopre la superficie interna delle palpebre e la superficie anteriore del bulbo, ed infine orbitari, quando si formano nella cavità che ospita il bulbo.

Il percorso clinico e diagnostico comprende varie tappe per valutare cause, sviluppo e decorso della patologia e valutare l’approccio terapeutico più indicato.

L’accurata anamnesi familiare aiuta ad individuare eventuali diagnosi tumorali nella famiglia del paziente; l’anamnesi generale indaga sullo stato di salute generale, alla ricerca di eventuali fattori di rischio.

L’esame del paziente prevede il completo esame oftalmologico:

misurazione dell’acuità visiva, misurazione della pressione endoculare, esame del segmento anteriore per osservare lo stato della superficie congiuntivale alla ricerca di lesioni sospette, per valutare la trasparenza della cornea, l’angolo irido-corneale, il colore e la struttura dell’iride, esame del segmento posteriore con dilatazione per analizzare il fondo oculare.

Le ulteriori indagini strumentali consistono nella fotografia del segmento anteriore e/o posteriore con il biomicroscopio e il retinografo, fondamentale per valutare l’evoluzione della lesione e la risposta alla terapia, l’ecografia oculare, la tomografia a coerenza ottica (OCT), e l’angio OCT, indagini neuroradiologiche (TC e RMN) nei casi delle neoformazioni orbitarie.

Tra i tumori intraoculari le forme maligne più diffuse sono il melanoma coroideale e le metastasi coroideali nell’adulto, ed il retinoblastoma nel bambino.

Il melanoma coroideale è un tumore primario si sviluppa generalmente in forma asintomatica. Il trattamento conservativo con radioterapia dà esiti favorevoli nella maggior parte dei casi, ma in presenza di lesioni estese si deve procedere alla enucleazione del bulbo oculare. Tale neoplasia rimane tuttora una patologia potenzialmente mortale, con un rischio di formazione di metastasi a 10 anni di circa il 50%.

Le metastasi coroideali si presentano frequentemente nei pazienti in fase avanzata della malattia tumorale.

Il retinoblastoma è la più comune neoplasia intraoculare dell’età pediatrica. L’età media della diagnosi è di 12 mesi per le forme unilaterali e 24 per quelle bilaterali. Si manifesta nella maggior parte dei casi con leucocoria, cioè un riflesso bianco pupillare, o strabismo. La chemioterapia associata a trattamenti focali di consolidamento (termoterapia, crioterapia, brachiterapia) o più recentemente alla chemioterapia intra-arteriosa e la termochemioterapia costituiscono il trattamento terapeutico standard, che permette di ridurre la lesione. In presenza di una neoplasia localmente avanzata si deve ricorrere alla enucleazione del bulbo.

Tra i tumori benigni intraoculari ricordiamo quelli vascolari, di cui il più frequente è l’emangioma della coroide. I sintomi sentinella sono il calo dell’acuità visiva e la visione deformata delle immagini o metamorfopsia. Il trattamento oggi più utilizzato è la terapia fotodinamica.

Tra i tumori congiuntivali, le forme più diffuse sono quelle benigne, come il papilloma, le cisti epiteliali, i nevi congiutivali.

Neoplasia squamosa della superficie oculare o corneo-congiuntivale è la definizione con cui si indicano tutte le lesioni precancerose e cancerose che si manifestano su congiuntiva e cornea: displasia epiteliale semplice, carcinoma in situ e carcinoma a cellule squamose. La terapia standard è un’ampia escissione chirurgica associata a crioterapia del letto chirurgico e ricostruzione del piano congiuntivale. È recentemente stato introdotto l’utilizzo di antimetaboliti topici (chemioterapia in gocce), sia in associazione alla chirurgia che come terapia singola.

Il melanoma congiuntivale è un raro tumore maligno della congiuntiva. La scelta terapeutica dipende dalle dimensioni e dalla localizzazione del melanoma. Nei melanomi di piccole dimensioni e localizzati in sedi favorevoli è sufficiente una ampia resezione chirurgica, eventualmente associata alla chemioterapia topica e a brachiterapia del letto chirurgico, mentre nei casi di melanomi di grandi dimensioni o situati in sedi sfavorevoli o di grandi dimensioni, l’intervento chirurgico è più radicale.

I tumori dell’orbita sono forme neoplastiche, di natura benigna o maligna, classificabili in base alla zona colpita. Si distinguono in tumori neurogenici, mesenchimali, vascolari, epiteliali della ghiandola lacrimale, lesioni linfoproliferative, tumori secondari e metastasi.

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Patologie

Cheratocono

Deformazione della cornea

Cheratocono

Il cheratocono è una malattia cronica e degenerativa della cornea, caratterizzata dal progressivo assottigliamento e sfiancamento del suo tessuto connettivo o stroma. Perdendo rigidità e resistenza, la cornea si assottiglia e si deforma nella parte centrale, assumendo la forma di un cono.

Questa patologia colpisce entrambi gli occhi, anche se spesso in misura diversa, e si manifesta nell’infanzia e nella pubertà con un’incidenza stimata media di 1 caso ogni 2000 persone; ha un carattere familiare e genetico, quindi si riscontra frequentemente in pazienti con parenti già affetti da cheratocono.

È stata osservata un’associazione del cheratocono con disordini del tessuto connettivo, tra cui la sindrome di Elhers-Danlos e la sindrome dell’osteogenesi imperfetta. Nei pazienti affetti da cheratocono si può notare la presenza di malattie oculari isolate. Un esempio classico è la retinite pigmentosa.

Il primo sintomo è la riduzione del visus dovuta all’astigmatismo irregolare ed alle aberrazioni ottiche indotte dall’apice del cono: la curvatura irregolare cambia il potere refrattivo della cornea e produce distorsioni delle immagini e una visione confusa sia da vicino che da lontano.

Altri sintomi possono essere la fotofobia, ovvero l’abbagliamento alle fonti di luce, lo sdoppiamento delle immagini o diplopia monoculare, ed il frequente rossore oculare.

La diagnosi di cheratocono è eseguita mediante l’esame obiettivo dell’occhio e l’esecuzione della topografia corneale.

La topografia consente la ricostruzione computerizzata della curvatura corneale e consente sia una diagnosi precoce che un monitoraggio accurato del suo evolversi.

L’esame clinico si avvale anche della pachimetria corneale, tramite la quale è possibile misurare dello spessore corneale, fino ad individuare e localizzare il punto più sottile. Uno spessore corneale, centrale o paracentrale, inferiore a 450 micron è considerato patologico.

La tomografia corneale, infine, integra i precedenti esami, studiando la curvatura, elevazione e spessore della cornea a più livelli, arrivando ad individuare la patologia fin dalla più lieve insorgenza.

Negli stadi iniziali, il trattamento del cheratocono si avvale della correzione del visus tramite occhiali o lenti a contatto, che comunque non rallentano mai la progressione del cono. Le lenti a contatto consentono una migliore performance visiva rispetto all’occhiale, grazie al fatto che, essendo a contatto con la superficie corneale, riescono a regolarizzare meglio il profilo del cono.

L’unica opzione terapeutica che consente di rallentare o addirittura arrestare la progressione del cheratocono è il Cross-Linking Corneale.