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Retinopatia diabetica

Trattamento laser della neovascolarizzazione

Retinopatia diabetica

La retinopatia diabetica è la più grave complicanza del diabete mellito che colpisce gli occhi e costituisce la prima causa di cecità legale nei soggetti d’età adulta nei paesi industrializzati.

I sintomi spesso sono tardivi, cioè si manifestano quando il danno è già in fase avanzata, e questo limita i buoni risultati del trattamento.

La patologia colpisce i vasi sanguigni della retina (membrana complessa, vascolarizzata e sensibile che riveste la superficie interna dell’occhio e che rappresenta la struttura funzionale più importante per l’apparato visivo) e viene classificata in due forme.

La retinopatia diabetica precoce anche nota come retinopatia diabetica non proliferante (NPDR), può essere lieve, moderata o severa. Con l’avanzare della malattia le pareti dei vasi sanguigni si indeboliscono e vanno soggette ai microaneurismi, piccoli rigonfiamenti che danneggiandosi portano a sanguinamenti. La possibile formazione di un edema, ossia di un accumulo di liquidi nella parte centrale della retina, provoca riduzione della vista. L’identificazione di una retinopatia non proliferante avanzata è importante, poiché, se non trattata, rischia di evolversi in retinopatia diabetica proliferante nel 40% dei casi entro un anno.

La retinopatia diabetica proliferante (PDR) o avanzata è il tipo più grave perché coincide con la crescita anormale di nuovi vasi sanguigni a danno della retina. I neovasi sono stimolati anche dalla formazione di aree ischemiche nella retina. Questi vasi sanguigni neoformati, non possedendo una struttura adeguata, possono rompersi facilmente, con il rischio di emorragie pre-retiniche ed endovitreali e distacchi retinici secondari.

Per prevenire i possibili danni da retinopatia diabetica è opportuno effettuare periodiche visite oculistiche con esame del fondo oculare e controllare con sistematicità i valori della glicemia e della pressione arteriosa sistemica. Fondamentale nella diagnosi e classificazione del grado di retinopatia è la fluorangiografia che permette di studiare dettagliatamente le alterazioni morfologiche e funzionali dei vasi retinici, fornendo inoltre le indicazioni indispensabili all’eventuale trattamento laser. Altri esami diagnostici utili sono la tomografia ottica a luce coerente (OCT) e l’acquisizione periodica di immagini del fondo oculare per monitorare le modificazioni retiniche in ampi periodi di tempo.

Il trattamento della retinopatia diabetica si avvale di diverse metodiche.

Trattamenti laser mirati, efficaci nel migliorare la prognosi visiva nelle forme edematose e nel ridurre le temibili complicanze delle forme proliferanti neovascolari; iniezioni intravitreali di Ranibizumab o Aflibercept utili nel far regredire i neovasi, nelle forme refrattarie al trattamento laser e nelle forme edematose di una certa entità; impianto intravitreale di desametasone, farmaco corticosteroide a lento rilascio.

Nelle manifestazioni più gravi, cioè in caso di retinopatia proliferante con emorragie vitreali recidivanti e/o distacco retinico trazionale, si deve ricorrere alla chirurgia vitreo-retinica.

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Occlusione venosa retinica

Retinopatie vascolari

L’occlusione venosa retinica

L’occlusione venosa retinica (RVO) consiste nell’arresto del flusso sanguigno in una vena della retina, che provoca il deterioramento della vista, più o meno grave, generalmente improvviso.

Sotto questa definizione sono in realtà comprese varie patologie, che differiscono per cause, aspetti clinici, decorso e complicanze.

Il blocco della circolazione ematica provoca emorragie retiniche, con lo sviluppo di aree ischemiche, cioè scarsamente irrorate, o di edema maculare, con rigonfiamento ed ispessimento della maculala zona centrale della retina.

La retina è la membrana complessa, vascolarizzata e sensibile che riveste la superficie interna dell’occhio e che rappresenta la struttura funzionale più importante per l’apparato visivo.

L’occlusione può colpire la vena centrale della retina e allora si definisce come occlusione della vena centrale (CRVO), oppure solo un ramo di essa si parla di occlusione venosa di branca retinica (BRVO).

La perdita della funzione visiva è solitamente indolore e può anche insorgere gradualmente nell’arco di giorni o settimane.

I fattori di rischio sono gli stessi delle alterazioni cardiovascolari che coinvolgono altri distretti corporei e cioè arteriosclerosi, ipertensione arteriosa, diabete mellito, iperlipidemia, obesità, fumo, occlusione della carotide. L’aumentata viscosità del sangue può esser un altro fattore di rischio, così come alcune patologie oculari, prima tra tutte il glaucoma (si riscontrano casi di CRVO 5-7 volte superiori rispetto a soggetti sani) e i traumi.

La diagnosi dell’occlusione venosa retinica avviene tramite l’esame del fondo oculare ed è confermata da esami strumentali che indirizzano al trattamento più adeguato e permettono di studiare l’evoluzione della malattia, cioè la fluorangiografia, per valutare la presenza di ischemia retinica, e la tomografia a coerenza ottica OCT, che permette di individuare la presenza di edema maculare e la sua risposta al trattamento.

La terapia per ottenere il miglioramento dell’acuità visiva ed una riduzione dello spessore maculare è farmacologica: si ricorre ad iniezioni intravitreali multiple con Ranibizumab e l’Aflibercept, farmaci anti VEGF, cioè che contrastano l’azione del fattore di crescita dell’endoltelio vascolare. Una valida alternativa è attualmente costituta dall’impianto intravitreale a lento rilascio di un altro farmaco, il desametasone). Tale dispositivo presenta, infatti, una efficacia di maggior durata nel ridurre l’edema maculare diabetico.

Il laser è impiegato per trattare le complicanze dell’edema maculare e la formazione dei neovasi.

Esistono infine alcuni rari casi particolari che prevedono l’approccio chirurgico.

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Neuriti ottiche

Patologie del nervo ottico

Neuriti ottiche

La neurite ottica è l’infiammazione del nervo ottico, il nervo cranico che veicola l’informazione visiva dall’occhio alle strutture cerebrali, e può manifestarsi con una riduzione repentina della funzione visiva, anche in assenza di difetti refrattivi, patologie del segmento anteriore (cornea o cristallino) o malattie della retina.

Le neuriti ottiche costituiscono una delle più gravi emergenze in oculistica: il nervo ottico viene danneggiato in fase acuta e colpito da processi di neurodegenerazione in fase cronica. Tale patologia non è solo una minaccia per la vista, ma spesso è il campanello d’allarme di altre gravi patologie.

Esistono diversi tipi di neuriti, classificate a seconda della porzione di nervo ottico colpita. Se viene interessata la parte inziale del nervo ottico, si parla di neuriti ottiche anteriori, mentre se la parte coinvolta è situata al di fuori del bulbo oculare si parla di neuriti retrobulbari.

All’esame del fondo oculare, nel primo caso il nervo ottico può apparire rigonfio e di colorito accentuato, mentre nel secondo caso il nervo ottico è del tutto normale. Entrambe le forme possono essere causate da un’ischemia delle arterie che irrorano il nervo, da un’infezione, da una compressione da parte di una neoplasia, dall’azione di una sostanza chimica tossica come l’etanolo, da farmaci sovradosati, da traumi. Inoltre, possono essere espressione di malattie neurodegenerative o genetiche. 

Tutte queste cause determinano una disfunzione della trasmissione dell’informazione visiva dall’occhio al cervello.

In genere l’infiammazione agisce sul tessuto in modo molto rapido. Tipicamente le neuriti ottiche sono eventi acuti che si manifestano con un repentino calo della vista, ma anche con una macchia centrale nel campo visivo (scotoma) e con un’alterazione della sensibilità cromatica che porta il paziente a distinguere con fatica il rosso dal verde. Infine, nelle forme retrobulbari la malattia è spesso accompagnata dal dolore legato al movimento dell’occhio.

Le neuriti ottiche vanno diagnosticate il prima possibile. Ha particolare importanza un’anamnesi accurata e l’esecuzione di esami strumentali appropriati per la valutazione funzionale, con l’esame del campo visivo, l’elettroretinogramma e i Potenziali Evocati Visivi e morfologica con la tomografia a coerenza ottica o OCT.

Il trattamento delle neuriti ottiche deve essere repentino e non va rimandato nel tempo in attesa di esami diagnostici che ne accertino la causa.

La fase acuta deve essere trattata con boli con forti dosaggi cortisonici, seguita poi da cortisone a scalare. La terapia cortisonica accelera il recupero del deficit visivo, ma non la sua entità. Mesi dopo l’emergenza si può instaurare un processo di neurodegenerazione delle fibre del nervo ottico. Tale processo deve essere scongiurato in ogni modo perché la perdita della funzione visiva può addirittura peggiorare nel tempo. Nelle forme tossiche o in quelle su base genetica sono indicate altre categorie di farmaci.

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Il glaucoma

Il ladro silenzioso della vista

Il glaucoma

Il glaucoma è una patologia cronica e progressiva che colpisce il nervo ottico e che può portare alla perdita della vista, costituendo la più importante causa di cecità nel mondo.

Nella forma primaria, la più diffusa, il glaucoma è una malattia che non presenta sintomi specifici o gravi, ma solo lievi disturbi come visione di aloni o difficoltà a misurare le distanze ed è perciò definita come “il ladro silenzioso della vista”, poiché può progredire in modo pericoloso senza che la persona affetta se ne possa accorgere.  Ancora troppo spesso, infatti, in mancanza della necessaria prevenzione con i controlli periodici, la diagnosi del glaucoma viene fatta casualmente, nel corso di visite effettuate per altri problemi, quando la malattia è già in una fase molto avanzata.

Il danno al nervo ottico, che trasmette le informazioni visive dalla retina al cervello, è causato dall’aumento della pressione intraoculare, a sua volta generato dallo squilibrio tra produzione e drenaggio dell’umore acqueo, liquido prodotto nella camera posteriore dell’occhio.

Le cause del glaucoma non sono note, ma ci sono sicuramente dei fattori di rischio. Oltre all’elevata pressione intraoculare (IOP), si possono considerare tali lo spessore corneale ridotto, la miopia e l’ipermetropia elevata.

Ci sono ulteriori condizioni di rischio legate all’età, da familiarità, etnia, fattori genetici, assunzione in dosi elevate di alcuni farmaci come gli steroidi.

Il procedere del danno visivo, incluso il rischio di cecità, è variabile in base al momento in cui è stata effettuata la diagnosi (da qui l’importanza della diagnosi precoce) e in base all’età e all’aspettativa di vita del paziente. I pazienti giovani con danno avanzato sono perciò la categoria più a rischio per la perdita della vista.

Bisogna infine considerare nella stima del rischio visivo anche la rapidità con cui la malattia progredisce, variabile da paziente a paziente, che può inevitabilmente portare, se non trattata con la terapia opportuna, ad un peggioramento repentino della vista, tale da alterare la qualità della vita del paziente glaucomatoso.

Il glaucoma si presenta in varie forme, in base alle quali è classificato.

Nel glaucoma primario ad angolo aperto, il più diffuso nella popolazione di origine caucasica, la progressiva degenerazione del nervo ottico avviene in presenza di valori della pressione oculare molto elevati, ma senza alterazioni anatomiche che possano giustificare tale innalzamento. I canali di drenaggio dell’occhio non sono visibilmente ostruiti (se esaminati con ingrandimento), ma la loro funzionalità diminuisce progressivamente, facendo aumentare la pressione.

Nel glaucoma primario ad angolo stretto o chiuso, più raro, l’aumento della pressione è dovuto alla chiusura anatomica dei canali, sia parziale (glaucoma cronico ad angolo stretto) che totale (glaucoma acuto).

Esistono anche rari casi di glaucomi a pressione normale, in cui il deterioramento del nervo ottico non è dovuto a valori troppo alti della pressione.

Si parla invece di glaucoma secondario per tutti i casi i cui si può definire con sicurezza la causa dell’aumento della pressione dell’occhio, come il glaucoma pseudo-esfoliativo, il glaucoma pigmentario, il glaucoma da cortisone, il glaucoma post-traumatico e il glaucoma neovascolare, spesso associato al diabete o a problemi vascolari della retina.

La diagnosi avviene dopo una accurata visita oculistica, completa di misurazione della pressione oculare, misurazione dello spessore della cornea, gonioscopia, valutazione del nervo ottico e esame del campo visivo.

Per la misurazione della pressione l’esame più indicato è la tonometria ad applanazione di Glodmann, con cui si esercita una pressione sulla cornea e si misura la resistenza del bulbo, insieme con la pachimetria che misura lo spessore corneale. Con la gonioscopia si analizza, con l’ausilio di una lente speciale, l’anatomia dell’angolo irido-corneale sede dei canali di drenaggio dell’umore acqueo per definire il tipo di glaucoma, se ad angolo aperto o acuto. L’esame approfondito del nervo ottico si avvale di tecniche sofisticate di imaging in continua evoluzione, come la tomografia a coerenza ottica (OCT) che consente l’analisi computerizzata della sua anatomia e delle fibre che lo compongono e l’angio OCT che ne valuta invece il flusso sanguigno. L’esame computerizzato del campo visivo serve a valutare la funzionalità del nervo ottico, rilevando le zone di cecità.

La terapia per il glaucoma è finalizzata principalmente a preservare la funzionalità visiva. La prima scelta terapeutica è medica e si basa sull’uso regolare e costante di colliri ipotonizzanti, la cui funzione è abbassare il livello della pressione oculare (IOT). I principi attivi, usati da soli o in associazione tra loro, abbassano la pressione oculare o riducendo la produzione di umore acqueo (beta-bloccanti, alfa-antagonisti, inibitori dell’anidasi carbonica) o favorendone il deflusso (pilocarpina, analoghi prostglandinici).

Il dosaggio deve essere accuratamente studiato in base ai dati obiettivi (età del paziente, fase della malattia e conseguente livello del danno al nervo ottico, velocità di progressione). Risulta perciò fondamentale un accurato monitoraggio mediante visite oculistiche periodiche, con l’esame diretto del nervo ottico, tonometria, esami diagnostici computerizzati (OCT, Angio OCT) e esame del campo visivo. La frequenza di tali controlli varia a seconda delle necessità del singolo paziente.

Qualora la terapia farmacologica non fosse sufficiente o in caso di forme diagnosticate in fase particolarmente avanzata, si può ricorrere a trattamenti laser (trabeculoplastica laser selettiva) o all’intervento chirurgico, di cui il più diffuso è la trabeculectomia. In entrambi i casi si interviene per disostruire il trabecolato sclero-corneale, cioè la regione dell’occhio tra l’iride e la cornea nella quale viene drenato l’umore acqueo.

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Distacco della retina

La struttura funzionale più importante dell’apparato visivo

Distacco della retina

Il distacco di retina rappresenta uno degli eventi più seri ed urgenti per l’occhio e la vista, da trattare chirurgicamente al più presto, in emergenza e con tecniche appropriate.

La retina è la più interna delle tre tonache costituiscono il bulbo oculare, e aderisce esternamente alla tonaca vascolare (uvea) e internamente al corpo vitreo, il tessuto connettivo gelatinoso che riempie i 4/5 posteriori del bulbo.

La retina è costituita da strati multipli di cellule nervose ed ha un ruolo fondamentale per la visione, poiché capta attraverso i suoi fotorecettori i segnali luminosi e invia le informazioni alla corteccia cerebrale tramite il nervo ottico.

Il distacco di retina consiste nella separazione degli strati che la compongono, determinata da un accumulo di fluido, detto fluido sottoretinico. Dopo appena 48-72 ore dal distacco inizia la morte delle cellule: ciò provoca la perdita progressiva della vista, soprattutto se la porzione di retina distaccata è quella centrale.

Poiché il tessuto retinico danneggiato non è sostituibile né con protesi artificiali né con trapianti come il tessuto corneale, bisogna intervenire al più presto.

Clinicamente il distacco di retina può essere classificato in base ai meccanismi patogenetici che lo determinano.

Il distacco di retina regmatogeno, dal greco ρίγμα che significa rottura, si verifica come conseguenza della rottura del tessuto retinico e al conseguente ingresso del liquido nello spazio sottostante.

Il distacco di retina trazionale consiste nella separazione degli strati retinici provocata dalla trazione centripeta esercitata sulla retina da membrane patologiche.  Può essere puro in assenza di lacerazioni o combinato trazionale-regmatogeno per la presenza anche di lacerazioni.

Il distacco di retina essudativo, causato dall’eccessiva formazione di fluido sottoretinico. Questo caso si può prevedere anche solo una terapia medica, senza ricorrere alla chirugia.

Il distacco della retina è sempre anticipato da alcuni segnali, come la comparsa improvvisa di mosche volanti e corpi scuri fluttuanti davanti alla vista (miodesopsie), improvvisi lampi di luce in uno o entrambi gli occhi, uno scotoma, ovvero un’ombra o una tenda che copre parte del campo visivo.

La comparsa di corpi scuri nella vista e lampi di luce (miodesopsie e fotopsie) deve mettere in allarme il paziente e spingerlo a sottoporsi al più presto ad una visita oculistica: la miglior prevenzione consiste nel conoscere i sintomi e in controlli della vista periodici. È importante sapere che le miodesopsie non scompariranno con il tempo, ma saranno sempre visibili, soprattutto in presenza di variazioni di luminosità. Con il tempo tuttavia le macchie si riducono lievemente e il fastidio diminuisce.

I pazienti più a rischio sono i grandi miopi, anche in giovane età, e tutti coloro che si sono sottoposti ad intervento di cataratta. Un’accurata visita oculistica, con l’esame del fondo oculare, consente di identificare la rottura e/o il distacco di retina e di intervenire nel modo più veloce ed opportuno.

Il trattamento laser delle aree che risultassero causa di indebolimento della retina è il primo intervento fondamentale per prevenirne il distacco. La procedura si esegue ambulatorialmente ed è rapida e semplice.

 Quando il distacco coinvolge invece un’area significativa della retina è necessario intervenire chirurgicamente. La chirurgia per il distacco di retina prevede essenzialmente due approcci: ab-esterno, chirurgia episclerale senza entrare all’interno dell’occhio e ab-interno, con la vitrectomia.